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giovedì 6 marzo 2014
AHZ. NEL MAGGIO DEL 1977 ERO A CHIETI
Nel maggio del 1977 ero a Chieti.
Faceva caldo, il cielo coperto, lattiginoso, c'era una
cappa opprimente.
La cappa d'afa che mi piace, talvolta, e non sò perchè.
Le cose sgradevoli, forse per filosofia, per poesia, ci
piacciono.
Non sempre.
Ero nel retro di un baretto (una grossa scatola di
cemento), all'esterno, a ridosso di un'altura.
Non c'era nessuno, osservavo il cielo velato.
Posando gli occhi a terra, sull'asfalto, c'erano
delle scatole vuote di latta dall'apertura circolare:
erano contenitori di polvere per fare il gelato.
Un'odore dolciastro, nauseabondo, proveniva
dal laboratorio, chiuso, del baretto.
Dalla parete, una feritoia lasciava uscire, da una
graticola a maglie fitte, dell'aria calda e si sentiva
il rumore di un motore, senz'altro una cella frigorifera.
Un'icore giallo, dal colore del caramele, sgorgava
dalla grondaia, ma era lo scolo dei rubinetti del
laboratorio.
Un puzzo di inaudita zuccheraggine saliva, mieloso,
urtante.
Ero sudato, appiccicosi i jeans alla pelle delle gambe.
La maglietta attillata era di cotone, sotto le ascelle
il sudore era abbondantemente giunto a chiazzarla.
Dal vicino corso cittadino saliva insistente un profumo
di noccioline torrefatte, di zucchero caramellato, e
di porchetta arrostita, calda.
Ero annoiato, mi veniva su una potente nausea, come una stanca erta di scale fatte a fatica, controvoglia: i funghi sott'olio mangiati a pranzo senza pane e le triglie al formaggio mi avevano stomacato oltre ogni immaginazione.
Avevo bisogno di eliminare violentemente quelle superchierie alimentari, eppure non riuscivo a trovare il coraggio di ficcarmi due dita in gola.
Decisi di entrare al baretto: girato che ebbi l'edificio passai tra gli alberi frondosi, e superai la soglia.
All'interno c'erano molte persone.
La mia ingordigia ebbe il sopravvento sulla nausea, e presi un trancio di pizza con peperoni e melanzane.
Mi faceva un pò male il dente bucato, un molare che non avevo mai fatto curare, per via del mio terrore del dentista.
La pizza era molto buona e piacevolmente croccante.
Di repente, uno spuntone di pizza si andò a conficcare
nel dente bucato, cariato e infiammato.
Ne seguì rapidissimo un acutissimo dolore che mi fece sussultare violentemente, esclamando in un altissimo '-Ah!'.
Delle ragazzette che erano li dipresso, scattarono a ridere.
TIRO AL FAGIANO
A Chieti, nel 1977, era un caldo maggio appiccicoso, proseguivo nella giornata di festa il mio pigro gironzare fra le cose e le statue di bronzo di un giardino, nel corso, prima del monumento, all'acquario cittadino, nella vasca del polipo gigante e poi, a sera fatta nell'illuminatissimo zoo, in realtà, un piccolo parco con le capre.
'Cebus apella', il cimmiottino oltre le sbarre mi guardava curioso: alzava ritmicamente le sopracciglia.
Una capra (ovicaprus) mi si accostò, oltre la recinzione.
Da un'alberello là vicino colsi delle foglioline: gliele
porgevo, e lei le mangiava dolcemente.
Ero un bambino, e mi piaceva accarezzare i suoi cornetti appena spuntati sul capo pecorino.
Sedetti un'attimo per ristorare, su una comoda panchina in un'aiuola.
Era una panchina tonda, a 360 gradi, comoda ancora, ed ottimamente, al suo interno una grossa palma.
Mi assalivano già a quella età pensieri che non erano pensieri, forse erano solo sensazioni o erano solo le suggestioni delle tante cose che vedevo.
'Il sapone della nonna era verde trasparente, profumava di antico, ed il bucato veniva bianco senza sforzo.
Il sapone per il viso la mattina, avevo pochi anni, cinque o sei, era al limone, sempre ricorderò quel profumo, industriale, certo, ma delicato, ancora non sintetico'.
Nell'aria di festa primaverile, veniva una musica allegra, un'orchestra, un liscio godibile, forse Enghel Gualdi, forse Raoul Casadei.
( Camillo Catellani; 31 Marzo 2007 )
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