venerdì 28 febbraio 2014

AGU. ALT-BORNHEIM 26 FRANKFURT


ALT-BORNHEIM 26 FRANKFURT


Un pacchetto di Ernte Dreizwanzigt, una scatoletta di Gletscher, due di Royal e due di Ozona Snuff.
Le cicche le tengo per me, non dovrei fumare, poichè mi sono appena operato alla gola, asportate le tonsille, 
non posso neanche bere un pò d'acqua, che mi brucia la gola.
Tutti i giorni, in questa città del kaiser, piove, ed in pieno giugno, sembra di stare al Polo Nord.
C'è quella ragazzina che mi piace tanto, con quella minigonna di plastica trasparente, a lei piacciono gli Europe, a me Alan Parsons, ci  siamo scambiati i dischi.
A casa, in Italia, conobbi un'altra ragazza della mia età. penso eternamente a lei, i suoi occhi dolci.
Ora, a 15 anni posso fidanzarmi, ma devo studiare tanto.
Tutto qui, per oggi, Caro Diario, basta cosi', tante cose davanti a me, devo comprare le chine ed i colori acrilici.

Duilio Vanara, Francoforte sul Meno, 24 Giugno 1987

 ( Camillo Catellani; 28 Febbraio 2014 Pomeriggio )


  
      
















martedì 25 febbraio 2014

AGM. TORMENTO DI MOSCHE

TORMENTO DI MOSCHE


Quando la tua vita,
è tutto noia e squallore;
apatia e disgusto,
come un tormento di mosche,
sei in uno stato pietoso.

Se attorno a te,
non hai il conforto dolce,
delle cose forse vive,
ma solo fango e calce,
chiudi gli occhi e,
rifiuta ogni pensiero.

Passano gli anni,
sulla nostra inutilità;
si alternano stagioni,
condite di bisogni,
vani, con certezza
solo di rinunce.

         ( Camillo Catellani; Novembre 1996 )

AGK. UN OTTOBRE


 UN OTTOBRE


Ancora sento il respiro salire su.
Sono ferito a morte,
penso,
la luna la sento lontana,
sono disteso pancia all'aria
sul diserto rosso brullo.
E giallo ocra.
Muoio.
Sto morendo,
accarezzami vento bruciante.
Il mio odore di scimmia,
allontanerà l'uomo negro?
Muoio.
Loro,
gli uomini,
piangono
quando muore uno di loro.
Io,
muoio.
Per me.
Senza Dio.
Senza lacrime.
Un infinito pianto.
Senza madre,
senza padre.
Solo come un uomo solo.

Morire per morire.
Dissolversi, scomparire.
Fondere le mie ceneri,
con la sabbia.

Io sono un'amadriade,
scimmia con il muso di cane,
sono buffo, faccio ridere.
Ed ora muoio.
Chi mi piange?
Perchè la solitudine uccide,
ed ancora,
discretamente lo fà.

Spaventano le mia grida.
Ma sto morendo!
Muoio da scimmia.
Dignitosamente.
Da scimmia.
Nessuna creatura piange per me!

Muoio da scimmia.
Senza lacrime,
disperatamente.

    ( Camillo Catellani; Ottobre 1993 )

lunedì 24 febbraio 2014

AGJ. S'AGAPO' (KALE MOU)


 126.
                    SAGAPO'
                 (KALE MOU)


C'era a Salonicco
un ragazzo di vent'anni,
grassissimo,
solitario,
e dai modi sprezzanti ed indisponenti.
Lo chiamavano ''Nikòs Pleiades''.
Fumava le Papastratos.
I suoi pantaloni erano
di pesante velluto marrone liscio:
era una assurdo,
nell'opprimente calura
dell'estate macedone.
Le ragazze ridevano come pazze,
lui se ne accorgeva,
non soffriva
ma pensava che in fondo il loro
era un divertimento giusto e motivato.
Ed ancora pensava,
alle striscie della bandiera
bianca ed azzurra
della sua Grecia.
Allora,
non pensava più a nulla,
se non ad una canzone che faceva:
'...σ' αγαπώ καλέ μου σα Θεό μου σ' αγαπώ...'.(*)

    ( Camillo Catellani; Villa Rosa, Agosto 1993 )

(*): Ti amo, mio Dio, come il mio amore.
(Canzone di
)

AGI. 733




             733


C'era un ragazzino di quindici anni
che se ne andava in giro
per le lunghe strade di Milano
bruciate arse dal sole
di un estate bianca rovente.
Aveva i jeans morbidi
e una camicia a disegni cachemire,
lenta.
Le macchine parcheggiate
ai margini della strada,
le lamiere ostili,
bollenti.
Le persone non badavano a lui,
le cose non badavano a lui,
le ragazze più esposte,
nell'afa,
sorseggiavano bevande.
Ragazzine sue coetanee,
che lo smicciavano,
lo guardavano camminare spedito,
con i ricci neri che brillavano al sole
e la sigaretta fra i labbri.
Una disse ''fuma le Parker 733''!!
Nelle vie di Milano aleggiava
una nuvola di tendera tenderezza.

         ( Camillo Catellani; Villa Rosa, Agosto 1993 )

AGH. IL SESTO FRATELLO


 44.
            IL SESTO FRATELLO

"Belli occhi,
ricci i capelli,
soffusa la voce,
ecco un puntino"!

Bussando, apparivi,
così al mondo.

"Bianchetto il  tuo sorrisetto,
di palma l'odor del tuo alito
asciutto dopo il discorso su Elena".

Pugnala, pugnala,
questo Dicembre amaro
diventerà, nelle tue frasi,
la fine, per me.

"Il cappottone gualcito,
la farfalla di gangia,
e la città maledetta".

Muovi la testa,
agitati, apri strade
di antipatia.

Scappa, scappa,
scappa da me,
che ti tocco,
solo per amore.

Scappa, con il tuo cappottone nero,
così grande su di te!

Fuggi, per arrivare
al tuo bivio.

Nasce in me, l'amore
morto.
Ti odio; l'etere, amico
or m'aiuta.

Aita estrema.

Cadi, cadi, adesso,
nel vuoto che tu cercasti.

La vita è tua,
io ti avrei dato
la vita, tu la
butti a mare per l'immondizia
delle menti smarrite.

Canta per l'ultima volta,
l'ultimo lamento,
l'ultimo sospiro esalerà,
l'ultimo morituro sospiro
un ragazzo, disperazione
d'un aedo.

L'ultimo di tanti ispidi cranii.

Ed eccolo,
eccolo il sesto fratello,
incartapecorito, angelo esangue,
goccia di sperma sperduta,
ecco l'alieno,
guardate la sua espressione
di pace sublime!

Dategli, presto una croce,
ne ha bisogno,
il suo spirito cerca la morte,
ha bisogno della non-compassione!

No,non parlategli di vita,
ditegli piuttosto di lune rosse!

Parlategli di fosse da sepoltura,
di ceneri grigie,
di fantasmi;
suoi fratelli!

In nome di Dio, impotente!

Dategli un fiore appassito,
preghiamo per questo vivente morto

Dategli ciò che vuole!
Regalate a lui indifferenza!
Origliate, origliate il suo respiro!
Geme, non respira!
Alleluia, è morto, è morto!

Guardate come avanza a passi
piccolissimi, incerti, insicuri,
ammirate, il vuoto, nel suo
sguardo.
Provate a cercarlo, nei suoi
pensieri!
Evviva, non lo troverete!

E' altrove, e vi rimarrà per
sempre!

Cantiamo, cantiamo e danziamo,
con lui, che solo accenna
un passo e capitola al suolo.

Ma no, cosa fate, si rialza
dassolo, non lo aiutate, lui
ne ha bisogno ormai più!

E' nato, oramai, il sesto fratello,
nato dalle ceneri
del quinto, e dalla gangia!
Che bello, che è,sembra
finto, parla, parla,anche!
E' proprio un nuovo fratello
appena nato dalla farfalla di
metallo, con dentro la gangia!
E' straordinario, una farfalla,
nata così, è morta, generando
un bruco, dal bruco morto, è
risorta la larva.
Ecco, ecco la nuova creatura!

...l'orrenda metamorfosi...

Ecco il sesto fratello.

-REQUIESCANT IN PACE-

        ( Camillo Catellani; Ortona 28 Aprile 1990 )

AGG. AMICO CHE MI MUORI FRA LE BRACCIA

      
        AMICO CHE MI MUORI FRA LE BRACCIA


Amico che amai,
mai ti vidi così
estraneo a te stesso.

Perchè non ce ne sono,
tu, vuoi.

Mi muori fra le braccia,
e questo senza speranza canto
ti seppellisce.

Piccoli sono ora i tuoi
pensieri, e i desideri,
efebo estasiato.

Gangia nel tuo naso,
olezzi orientali,
portati a te dai
falchi della morte.

O profeta dell'amore,
che svanisci, sapessi
como soffro per l'odio,
di me stesso per le tue azioni.

Nei tuoi occhi non scorgo,
che a tratti brevi,
il ricordo di teneri scambi.

Le sofferenze patite
danno vigore ai futuri.

Tu quali futuri avrai,
incosciente mio piccolo anemico.

Speranza di sfiorarti,
il sole abbacinava un giorno
i tuoi due occhioni neri,
da quello, esplose, il sole.

Le Erinni ti divorano, ultimo
selvaggio parto di cotanto
padre snaturato, ma la
parola si scioglie in lacrimæ.

         ( Camillo Catellani; Ortona, 28 Aprile 1990 )
 

AGF. LATINA NOSTALGIA



                 LATINA  NOSTALGIA
                         -IL PENSIERO-
                   ( Come gli ippocampi )


Quando nel vento,
passano i pensieri,
senti un freddo
che provoca altri
freddi,
t'accorgi della fuggevolezza;
del mondo.
L'uomo con la barba lunga
diceva strane cose.
Io stavo seduto,
sotto un ulivo,
sulla collina,
che lentamente da' sul mare.
Nelle mie mani,
pane nero.
Nel mio piatto,
olive.
Un sole pallido,
su di me e sul paesaggio,
corre.
Del vino rosso,
in un antico cratere
nasconde quest'arido quadro,
riflesso,
in ampi spazi,
dentro me,
tal cuore di fauno:
Antiche storie
su ipotetici satiri...
Forse più realistici,
i miei zii di campagna:
gli sguardi rivolti fieri,
a donzelle,inginocchiate.
Sui larghi sorrisi
infiniti motivi di languori.
Attraversammo insieme rii,
prospettive meridionaleggianti,
subalterni tuguri,
grattacieli,
essi eclissavano,
il raggio,
tenue,
di luce.
L'uggio sparisce,
quando ripiombo
fra le selve.
Silvestre,silvane
altere cortigiane.
Io divago...
Degli uccelli,
passando
spostano l'aria.
Ecco in me,
la pesantezza
di chi vola solo,
col pensiero.
Urge allora proiettare,
fuor dall'orbite,
l'occhi,
passarli su vibrazioni
ondulanti:
meditare è ora possibile.
L'imbrunire è sacro,
al poeta,
come l'ostia,
dei fedeli.
Ragazze brune,colorano,
con le loro vesti,
il viale di case rosse e verdi.
Limatura di ferro,
segatura,
solfato di rame,
colori cangianti,
nei miei pensieri,
ovvie variazioni:
chimiche,
nel mio cervello,
le curve e i picchi dell'umore.
Sul dorso tuo,
il filo della schiena.
Ti mancano le due gobbe,
dei  'melli.
Sulla spuma candida
del mare,
e su quella profumata
delle birre estive,
s'infiorano i sospiri
gementi di opposti desideri,
semplici,
di sobrietà.
Ricordi i tritoni,
mitici...
Gli ippocampi,
in un mare fresco,
soavi,
s'elevano e,
s'inabissano,
si plasmano,salmastri,
chiari del loro oscuro
mutismo.
Io rivedo,ogni tanto,
le forme sagomate
di antichi pani.
Se però penso,
ad una monaca,
nella sua stanza,
nulla,semplice,
i pani assumono,
anche un che di divino.
Misticismo,
che mi rapisci,
portami,leggero,
fino in fondo
al pensiero,
o nello spazio
dell'animo
irreale che posseggo.

      ( Camillo §Catellani; 17 e 19 MARZO 1990 )

 

AGE. I° CANTO LATINO - EROS


         I° CANTO LATINO - EROS

Voglio vedere,
sentire,
cadere dal cielo bigio,  bluastro,
la pioggia.
Sotto di me,
una  donna mora,
che mi da l'amore,
come un grappolo d'uva spina,
sulla tavola imbandita,
che ospita i frutti della mia terra.
Ansimando, sui miei oscuri pensieri latini,
il fuoco che arde nelle viscere,
mai come oggi vorrei vivere e morire
insieme,
insieme a te,
più volte,
in una sola boccata
dell'amore tuo,
delle labbra tue,
carnagione olivastra,
siciliana o toscana,
non so,
ma solo so,
che t'ho!
Ti salutano le tue amiche,
con lunghe chiome,
sventola la tua forte mano,
muovi il profumo del pesce,
appena pescato,
dalle barche battenti l'onda,
azzurra e verde.
Di sera, nella nostra casa,
fra la campagna,
mentre tu prepari la cena,
da fuori,
un pastore, suona
melodie inafferrabili,
col flauto di tante canne,
che danno al suo soffio,
note eteree.
E vedo fra le tue vesti,
le tue forme,
come un sole di gemme.
Il mulino,
accarezzato è,
dalle gocce di piogge.
La bellezza dell'atmosfera
dell'autunno appena iniziato,
i profumi del cibo cotto,
il vapore del cibo cotto,
il vapore delle pentole,
io sdraiato sul letto,
poco spazio divide noi,
la parete,
non ha una porta,
ma un arco,
cui vedo in cucina te.
Sentirò poi i ricci tuoi
capelli, i tuoi seni
ampollosi,
ricadere sul mio tronco.
Sognerei occhi azzurri,
io, se non avessi te,
amor di fuoco,
saetta che abbaglia maestosa
la notte, mia,
e tua.
T'agiti,
t'avviluppo,
cadi sull'anima,
nascono gemiti e fremiti,
le tue braccia,
le tue gambe,
impazzisco di desiderio,
esplode l'esser nostro,
vedo non più te,
ma l'immagine del sangue,
e del sudore dell'amarsi,
dell'odio che 'vien amore,
esposti alla vita,
per vivere intensamente,
scatenando la nostra immorale
garbatezza,
esulta la tua passione
agitata,
fiori, frutti, scritti sinuosi,
odori,
tutto è all'apice
all'estremo portato.
ti ho in me,
e tu m'hai in te,
si fà buio ma
ora, tra noi è tutto luce,
arsi ogni sera,
nelle ombre dell'amore,
che tanto s'ama,
di soffrire e risoffrire,
piangere e ridere.
Il gigantesco abbraccio
della tenerezza,
che il tempo cambia,
ma non sopisce;
preghi ora, con frasi
stranite, sfinite,
sfinita tu sei,
come me,
anima ora che implora,
e ti stringo, oramai,
per piombare in un sonno,
irreale, di sogno,
e già è tutto fare,
fuori dove si risveglia
l'umida terra,
attorno alla casa,
è tutto verde,
alberi e fronde,
noi invece voliamo,
con l'ali di Morfeo;
e già,
fuori,
albeggia.

   ( Camillo Catellani; 1° Marzo 1990 )



domenica 23 febbraio 2014

AGC. FRAMMENTI



                   FRAMMENTI


I.

Tu stavi sempre sotto la pioggia, ad aspettarmi.
Sembravi una ebete.
Ma comunque...
La mia donna eri tu, sembravi una buona donna,
una gentile ed onesta ragazza, un pò tozza, un pò
altera, un pò obesa.
Meritavi uno come me, non meritavo una come te,
chi veramente amavo, durò poco.
Uomo troppo didascalico, modesto sessualmente,
nulla al caso lasciavo, tranne l'impulsività.

                       **  **




III.
                       NOTTE SOLITARIA


Al chiaro di luna, sono seduto sulla solita sedia
impagliata.
L'aria di giugno è ferma e tiepida, la notte serena e
silenziosa.
Grilli didascalici con cicale messe lì apposta per me,
per chi le sente.
Non c'è niente di cui rallegrarsi in una notte così.
La poesia si fà prosa e la prosa si fà lamento,
nenia, canto negro.
La mia scrittura inseorabilmente stà cambiando.
Rispetto al 2000 od al 2003 è meno affettata, più
prosaica con inserimenti poetici frequenti
ma non in versi.
Ma la mia scrittura è marginale, figlia di
momenti, di situazioni.

                                   


                       **  **


IV.


-La mammina spinge il carrozzino sull'erta.
-La mammina che sull'erta sospinge il carrozzino
mostra il culotto florido.
-La mammina, sull'erta, spinge il carrozzino,
mostrando un florido culotto.



                       **  **


V.


Tu sei sempre lì ad aspettarmi, sotto l'acqua
che dal cielo scende spietata.
Ma un'ombrello potresti comprarlo...
Il mio lavoro è duro, e le occasioni di incontrarci
scarse.
Si vive anche per l'amore, si vive d'amore, d'amor
si muore.
D'amore non si muore, si vive nella più totale
indifferenza.
Quando le passioni e le pulsioni non trovano sbocchi
naturali, si vive a metà.
Forse.
Forse si vive definitivamente, ad un'altro piano,
su un'altro livello.



  ( Camillo Catellani; 10 Aprile 2007 )












          
































AGB. LE MEMORIE DI UN VESCOVO



        CORNICI
       
                                   


2. LE  MEMORIE DI UN VESCOVO



Anche un vescovo, ama.
Don Enzo Savalli, amava non si sà bene cosa,
ma amava.
Quella sera nella sua stanza, Don Enzo si sentiva
proprio bene.
Fuori, c'era silenzio, Gennaio era da molti giorni,
soleggiato, pur se la temperatura scendeva
rapidamente, dopo il tramonto del sole.
Don Enzo rifletteva sulla religione, sulla sua,
cristiana, e su tutte le altre religioni, ogni sera,
prima di addormentarsi, finiva per convincersi che
tutte le religioni erano buone, ed in cuor suo,
mai avrebbe disprezzato una confessione a favore di
un altra!
Le memorie di un vescovo, raccontate per telefono,
alla radio, una sera come tante, un intervistatore
dalla voce suadente, morbida, quaranta minuti, prima
di mezzanotte, per spiegare, con la dolcezza tipica
sua, le esperienze di vita di un fervente religioso.
In segreto, però, Don Enzo, era un laico convinto.
O meglio, per lui non esistevano confini tra fede
ed ateismo: anche un perfetto agnostico, era un
fedele da rispettare.
Questa sua visione così delicata ed aperta,
sbigottiva puntualmente tutti coloro che prestavano
un minimo di attenzione, ed avessero un pò di
conoscenza del tema.
Don Enzo amava la Bibbia, ma non era un fanatico,
il suo era  più che altro,  un profondo rispetto,
per il Libro, che aveva già letto una decina di
volte, non contando, ovviamente gli studi e le
prediche che negli anni lo portarono a piegare
il capo sul volume.
Però, Don Enzo amava anche i libri 'profani'.
Romanzi, anche contemporanei, amava allo stesso
modo.
Dopo cena, si ritirava in una saletta illuminata 
debolmente, per leggere volumetti sacri di ogni
genere, ma in particolare, 'Le Vite e le Opere dei
Santi'.
Queste letture davano al religioso una
straordinaria serenità, una profondità spirituale
che sfiorava l'estasi.
Era una personalità importante, ma priva di
ambizioni, infatti l'alta carica non
aveva affatto illuso Don Enzo, che sentiva
sempre l'inutilità e la vanità dei
riconoscimenti, dei titoli nobiliari, delle
carriere militari, e così via; riconoscendo
come unica reale soddisfazione, la stima
delle persone deboli e povere, che
accoglieva, quando poteva, anche alla sua
tavola.
Don Enzo, una sera, ascoltò dalla Radio Vaticana,
un bel programma intitolato 'TERTIO MILLENNIO
ADVENIENTE'.



     ( Camillo Catellani;  1999 )

 


sabato 22 febbraio 2014

AFZ. CORNICI



              CORNICI


1)     SOLITUDINE


a)   LA STANZA DEI TELEVISORI


E' acceso il televisore.
Sul programma nazionale, il monoscopio RAI.
Riprodotto, dopo venticinque anni,
da uno dei suoi monitor-generatori
costosi.
Giornata di sole pieno, l'angusta
stanzetta senza luce, ha l'unica tapparella
abbassata, serrata.
Mensole d'alluminio grigio neutro,
arrivano al soffitto.
Monitor e televisori di ogni epoca,
fra cui, alcuni,vecchissimi, dallo schermo
grigio-crema...


b)   AMBROGIO MELGRATI


Ambrogio Melgrati, 47 anni, nato in provincia
di Pavia, 20 anni di fabbrica alle spalle, a saldare
fili elettrici all'interno dei televisori,
ed assemblare componenti di radio ad onde medie,
era un tipo estremamamente chiuso e riservato.
Non aveva mai avuto, incredibile, forse, donne.
Amici, in un lontano passato, qualcuno; da molto
tempo, ormai, persi di vista, come in una vita antecedente.
Riparava televisori per conto di un grande
negozio di Milano.
Il suo stipendio era modesto, lui non chiedeva
nulla di più, a patto però che i televisori da
riparare fossero consegnati direttamente a casa sua.
La sua professione la svolgeva in totale solitudine,
ma in sei anni di lavoro, mai nessuno si era lamentato
delle sue riparazioni.



c)   ALCUNE   COSE


In una stanza oramai disabitata,
oscura e disadorna, del largo appartamento
occupato da Ambrogio Melgrati,
c'era un grande comò, una cassettiera
ad otto tiretti, larghissima, ed alta quasi
due metri, di legno antico, ma tutt'altro
che pregiato.
Dentro ogni cassettone, c'era uno scheletro.
Aprendo un cassettone si vedeva uno scheletro
vestito di antichi abiti, belli, di raso rosso
bordò, quelli femminili, ben conservati; più rigorosi
quellli maschili, neri, giacca e pantalone,
e cravatta, antiquati, obsoleti, ma rispettabili,
per via del dignitoso contenuto.
Il cranio ed i capelli, in ordine, anch'essi ben
conservati.
Una nebbiolina, però, all'altezza del volto, non
permetteva di distinguere bene le fessure delle
narici dei cadaveri.
Erano lontani antenati di Ambrogio Melgrati.

d)    LA   CUCINA   PRIMA


Un corridoio diritto, e buio, ma non troppo.
Ai due lati, i vari ingressi delle stanze.
Il primo ingresso, entrando in corridoio, a
sinistra, dava alla cucina.
La cucina di quando c'era ancora tutta la
famiglia al completo: la madre,
donna lombarda moderna e sana, il padre, e
non si sà altro.
In fondo alla cucina, (rettangolare, non molto
spaziosa, ma arredata con buon gusto, e mensole
moderne, come ce ne sono in milioni di case),
una finestra a due battenti, senza tendine,
la tapparella chiusa.
Di sera,il padre di Ambrogio Melgrati, imponeva
a suo figlio, di abbassarla: -Tira giù le clèr!!!
La stanza era nella penombra, nessuno più entrava,
in questa stanza, dal 1975.
Tutto quello che si trovava al suo interno,era
del 1975, od antecedente.
Anche il televisore Brionvega, bello ancor oggi,
pur se ormai datato.
Nel frigo, ancora funzionante, un tetra-pack
piramidale di latte, tipico di quegli anni, ed altre
confezioni di alimenti vari, dal contenuto, oramai,
a dir poco, bizzarro...
Ambrogio Melgrati, comunque, teneva la stanza
ben pulita.

  ( Camillo Catellani; Senza Data, ma 1999 )




  





giovedì 20 febbraio 2014

AFP. USANZA DEI CAROVANIERI DEL DESERTO MESSICANO


       

USANZA DEI CAROVANIERI DEL DESERTO MESSICANO


Pedecostàl: Si dà al ragazzo dopo 21 giorni (oramai
dopo soli 7 giorni).
Copertina grande all'incirca come un grosso tovagliolo
da cucina con un'appendice di stoffa lunga un metro e
larga 20 centimetri che serve a coprire il retro delle
gambe se si dorme sul fianco.

Bandèra: Coperta leggera che copre fino alla vita.
Si dà 21 giorni dopo il Pedecostàl.
La bandèras è un'importante conquista perchè vien
data nei giorni in cui le notti nel deserto cominciano
ad essere fredde (tra gli 8\12 gradi).

El Chupò: Coperta leggera che copre fino il plesso
solare.
3 giorni dopo la bandèra.

El Monacàl: Coperta leggera comlpeta.
7 giorni dopo el chupò.

Quando la temperatura minima raggiungeva verso zero
gradi, si dava al ragazzo, El Gran Monarca, copertona
gigante pesantissima, a tre strati, lana sotto e sopra,
e in mezzo, paglia, fieno o sabbia.

D'estate, l'usanza della razione d'acqua per fortificare
il ragazzo: periodo di caldo normale: 1 tazza al giorno
(100 ml.) - 6 giorni.

Periodo afoso: Doppia tazza (200 ml.).

Periodo torrido: Quallardo (o Cillardo o Gordones):
3 tazze e mezzo.
6 giorni.

Finiti i 18 giorni di 'carattere' si dà 2 bottiglioni da
2 litri al dì.

          ( 29 Ottobre 2006 Notte )



























martedì 18 febbraio 2014

AFK. LE STRADE DELLA VITA


LE STRADE DELLA VITA


In TV c'è la partita dell'Italia.
Ascolto sopra il debole audio dell'incontro,
una canzone.
Le strade assolate della Vita, strade lunghe,
torride, dritte verso il sole,
Noi bambini, mano nella mano, indistinguibili
nel gran chiarore fulgido.
Le strade della notte, il lungo rettilineo asfaltato,
le luci gialle illuminano discrete le mie parole,
-Ti racconto, cugino, le sconfitte dell'Uomo
che piange'.
Camminare lentamente, incedere leggiero e calmo
verso il niente.
Un astronave morta, vaga solitaria negli spazi
siderali, i cadaveri all'interno vegliano muti
l'Eternità che li culla e li avvolge.
La mia donna che cacca serena fumando una cicca,
inizia a piovere, il sole và via ed io placido
in giardino, osservo i gattini giocare tra loro.
Cinguettii di uccellini e ronzare soave di gentili
apette fra i vasi e le piante dell'orto, passa
un aereo supersonico, in cielo, silenzioso,
lascia una traccia bianca che si dissolve.
Il mio amore per il mondo, per la Vita
non si estingue con passeggere tristezze
e scoramenti periodici.

         (  Camillo Catellani, 14 Novembre 2012 Sera )

AFJ. PERDERSI (DIRE E NON DIRE...)



PERDERSI (DIRE E NON DIRE...)


Certo, quel pomeriggio, là, in altri tempi
ed in altre situazioni, sarebbe venuto da dire 
Ma cosa ci sto a fare qui...
Però quel pomeriggio di tanti anni fà, avevo
solo 18 anni, vivevo d'amore.
Platonico.
C'erano 30 gradi, ed eravamo solo a metà
maggio, io il caldo lo soffrivo meno per
motivi altri, ma faceva caldo.
L'Equipe 84 su cassetta ancora non era la 
sigla di quell'anno, di quegli amori pazzeschi
ed irrazionali, dei miei 18 anni.
Abbiamo avuto tutti, 18 anni, che male c'è.
Quanto vale un amore platonico?
Di per se, davvero poco.
Poi, più passa il tempo, più ci si accorge
che la cosa grande non fu certo l'amore
e tantomeno la persona amata, ma tutto
ciò che gli ruotava attorno, il mondo stesso,
in quel momento particolare, la vita stessa
vissuta in quel tempo.

COSA CI STAVO A FARE LA'....

Nell'orticello della casa di conoscenti, per un 
quarto d'ora lasciato solo, sulle scalette
di ferro che davano all'orto.
Quel quarto d'ora sotto il sole, con uno 
stato d'animo indescrivibile, fu in nuce
tutto il platonismo di anni dati al vento.
Perfino le smagliature dei seni della moglie
del conoscente, viste sopra i bikini, durante 
la passeggiata sul molo di quel posto leggendario, 
ricordo nitidamente, come una cosa tanto 
stupefacente quanto spicciola.
Eppure, quanta bonomia, quanta amicizia, 
quel conoscente, cui alla fine di quella giornata
semi-tragica, regalai una musicassetta
con canzoni dei Nomadi, Io nascerò di
Loretta Goggi, e La nave và di Aleanrdo
Baldi.
Canzoni, musica, ma l'amore che cercavo
quel giorno non c'era.
In macchina con lui ad ascoltare quel 
nastro, con me sempre quel magone,
quel ben conosciuto stato d'animo
quasi colpevole, certo anche a me stesso
veniva da dirmi '-Ma cosa ci sto a fare
qui'.
Momenti stranissimi, insignificanti
eppure poetici.


  ( Camillo Catellani, 6.X.2012 Mattina )

sabato 15 febbraio 2014

AEZ. LONTANO


 LONTANO



 Lontano, nel tempo e nei luoghi
la mia vita antecedente.
Vicino casa, far dei lavori urgenti
tirar su tubi idrici, dall'erba rada
ed umida, anche aulente di escrementi
di cane, odore di terra fresca.
Abiti ordinari, la noia, tipica
già in adolescenza, di quelli come
me.
Di pomeriggio, entrare in qualche
baretto, o in un mini-market,
fare il pieno di cioccolate,
prendere buste di latte, scegliere
un par di penne ed un bel quaderno,
perchè già a quei tempi, forte era
il richiamo della scittura, pur
se di cose assolutamente banali,
scarabocchi, disegnini.

Lontano, ma già attuali, pensieri
di spazi immensi e vacui, asfaltati
da poco, nerissimi, opachi ma
quasi lucidi, perfettamente piani,
fresco il pomeriggio, Arabian Song
di Battiato, le Onde Corte, la
musica araba, Via Redipuglia ad
Ascoli Piceno, l'Ascoli-mare,
la cabina dell'Esatau, ed io
dentro a leggere un giornalino,
Franco e Mariarosa da San Benedetto
con l'apetto, loro piccolo regalo:
una vecchia armonica a bocca
suonabile in entrambi i lati,
la lettura interessante di una
copia anastatica di una rivista
del 1910, et cetera et cetera
come dire che passatisti si nasce
quasi per predestinazione...

    ( 15 Febbraio 2014 Mattina )


Addio, addio amico mio 
addio per sempre, le nostre
Argentine ci hanno sempre
tenuti a distanza precauzionale.

Addio, addio...

























venerdì 7 febbraio 2014

AES. UNA CAMMINATA SOTTO IL FIUME


 UNA CAMMINATA SOTTO IL FIUME



Con l'inquietudine che ancora mi 

bloccava un pò le gambe, decisi 
di muovermi.
I gatti sfracellati vicino il gommista
erano fin troppo veri, ma la mano che
spuntava dal terreno, forse era solo
una allucinazione, od al limite,
una errata visualizzazione, una
fata morgana del cervello, che rende
nero per bianco.



 Mangiare carne umana, pensiero ozioso,
eppure nella casa isolata sotto Ponte
San Francesco, un giovane uomo è disteso
sopra un tavolo, i jeans tirati sul
ginocchio, due amici stanno tagliando
sottili braciole dai suoi polpacci.
Anche il giovane uomo comunque si
annoia, queste mutilazioni culinarie
avvengono ogni sabato sera, ormai
nessuno più ci bada.
Un tempo si cuocevano le budelle di
agnelli e maiali, le rane e le lumache
erano diffuse, pur se non in tutti
i posti, oggi la moda impone di
banchettare con parti dei nostri
amici: al miglior amico, il boccone
più prelibato.
Ogni lunedì mattina, per quelli
di Teramo Ambiente, un lavoro in
più, specie nella bella stagione
quando i tagli ed i fori nelle carni
vive, si praticano all'aperto
come una volta, nei pic-nic sui
greti del Tordino, o per le strade
del Ceppo e del Traforo.
A nulla è valsa l'ordinanza del
Sindaco: la gente quando si tratta
di mangiare e di essere alla moda,
magari nello stesso momento,
non vuol sentir ragioni.

Il pensiero che mi attanaglia
intanto da qualche giorno, come
un tarlo divoratore, un cancro
che smangia, è un vecchio pensiero,
un pensiero assurdo, nulla di cui
valga la pena di raccontare,
oltretutto sono passati tanti
anni, sono mutati gli scenari,
gli agenti e gli attori son
cambiati, chi sta bene chi sta
male, chi, indifferentemente, non
c'è più, e non è che io abbia
per questo speso una minima
lacrima, (affari suoi...),
l'attore principe è sempre
lo stesso, ora in gramaglie
ma chi può dirlo.
L'azione, prima lenta, poi
più veloce, ma non arriva
al 100% l'esclusività, la
reciprocità dell'agente e
dell'ospite di fatto incompleta,
insoddisfacente.
Qui una percentuale emotiva.
Ma a mano a mano si determinò
l'oblio, che però non portò
un significativo miglioramento.